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Il dolore vertebrale

 

Il dolore vertebrale è un sintomo molto diffuso nella popolazione adulta dei paesi industrializzati: almeno una volta nella vita l’80% della popolazione mondiale soffre di mal di schiena e il 55% di dolore lombare.
Esistono diversi studi epidemiologici con stime variabili per quanto riguarda la frequenza e l’impatto di questa patologia: è noto che le rachialgie incidono pesantemente sull’attività lavorativa ed hanno un elevato costo sociale.
In genere i fattori di rischio chiamati in causa sono la gravidanza, l’altezza, l’obesità e l’asimmetria degli arti inferiori. I rischi occupazionali di lesione al rachide riguardano soprattutto i lavori manuali che comportano sollevamenti pesanti ripetuti e con rotazione del rachide; comunque anche la prolungata stazione seduta, come la guida su lunghe distanze può essere messa in relazione al dolore vertebrale, soprattutto lombare.
In molti casi i disordini della colonna vertebrale hanno una distribuzione legata all’età ed al sesso.
Anomalie congenite e traumi sono più frequenti nei giovani, mentre negli anziani sono più frequenti le patologie di tipo degenerativo. Inoltre tra le cause vanno menzionate le patologie legate a problematiche delle strutture ossee, a lesioni dei tessuti molli o dolore riferito (viscerale, psicogeno, da neoplasie...).
In realtà il “dolore vertebrale” è l’espressione ultima di una serie di squilibri biomeccanici e/o bioenergetici che vanno affrontati attraverso un approccio multidisciplinare, perchè solo un’equipe di specialisti può individuare le molteplici cause che sostengono il sintomo ed elaborare la terapia più efficace e personalizzata.

Il trattamento ambulatoriale del dolore vertebrale
Nel determinare il dolore vertebrale entrano in gioco differenti strutture anatomiche:legamenti, articolazioni, ossa, muscoli, tendini, vasi e tessuto nervoso. Questo comporta il manifestarsi di un dolore misto ovvero di tipo nocicettivo e neuropatico, il cui trattamento prevede quindi l’utilizzo di differenti classi di farmaci e terapie fisiche non invasive.
Il dolore nocicettivo, derivante dallo stato infiammatorio locale, viene trattato attraverso farmaci antinfiammatori di nuova generazione (COX 2) e analgesici.
Il dolore neuropatico, derivante dalla sofferenza delle fibre nervose che originano dalla colonna vertebrale, si affronta con l’utilizzo di farmaci antiepilettici ed alcuni tipi di analgesici.
Per quanto riguarda le terapie fisiche, il nostro servizio di terapia del dolore dispone, per il trattamento del dolore vertebrale in particolare di due presidi: PBK-2c e Scrambler Therapy.
PBK-2C : un sistema di modulazione transcutanea che si propone, con un valido ed innovativo approccio, nella cura di patologie e complicanze a carico del sistema del sistema nervoso periferico, vascolare e dell’apparato locomotero e tegumentario.
Scrambler Therapy (ST 5): nasce da un’idea e dalla ricerca del Ing. Giuseppe Marineo (depositata con brevetto internazionale) ed è stata sperimentata dal Prof. Alessandro Sabato e di suoi collaboratori presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, negli anni ’90. E’ un dispositivo elettromedicale sviluppato per il controllo del dolore neuropatico annullandone la percezione in tempo reale, non “bloccando” l’informazione algica, ma sostituendola con un'altra compatibile di non dolore. La ST sovverte completamente il concetto della stimolazione elettrica nervosa: essa infatti non crea un’interferenza nella trasmissione dell’impulso nervoso dalla periferia al SNC, ma usa le fibre nervose come mezzo passivo per inviare un messaggio di normalità al SNC.

Nei casi in cui il paziente non risponda alle terapie ambulatoriali, può essere trattato in collaborazione con la ridiologia interventistica nelle modalità di seguito riportate:

Frattura vertebrale: riduzione in altezza del soma vertebrale di oltre il 20% delle sue dimensioni iniziali. La lesione fratturativa si viene a generare quando la combinazione del carico assiale e rotazionale sulla colonna eccedono la resistenza offerta dal corpo vertebrale.
L’osteoporosi primaria è la principale causa di fratture vertebrali (85%), mentre l’osteoporosi secondaria e le neoplasie ne determinano il restante 15%.
L’alterata biomeccanica spinale dovuta alla deformità cifotica può determinare un sovraccarico a livello delle vertebre adiacenti, aumentando il rischio in queste di sviluppare nuove fratture. Il trattamento delle fratture vertebrali prevede due tipi di procedure:
La Vertebroplastica percutanea, descritta per la prima volta da Galibert nel 1987, consiste nell’iniezione percutanea di cemento osseo nel corpo vertebrale, trova indicazione nel trattamento di fratture vertebrali su base osteoporotica, angiomatosa, mielomatosa o da localizzazione secondaria che causano dolore non responsivo ai trattamenti farmacologici.
Le controindicazioni assolute consistono in disordini della coagulazione, infezioni locali a livello del presunto sito di ingresso (osteomielite e spondilodiscite) e fratture instabili per coinvolgimento del muro posteriore vertebrale con compressione degli elementi neurali.
Controindicazioni relative sono costituite dal grave schiacciamento del corpo vertebrale, dalla mancata integrità dei peduncoli o delle faccette articolari o dall’ estensione del tessuto neoplastico all’interno del canale vertebrale.
La procedura e’ eseguita in anestesia locale con paziente in decubito prono sotto guida TC o fluoroscopica. Un ago da biopsia ossea viene introdotto nel corpo della vertebra, di solito monolateralmente, seguendo la via anteriore per i metameri cervicali, la costovertebrale o transpeduncolare per i dorsali e la transpeduncolare o extrapeduncolare per i lombari (Fig. 17 A). Successivamente viene iniettato nella vertebra del cemento osseo al fine di stabilizzare la vertebra e ridurre il dolore legato alla frattur. Al paziente viene richiesto di restare disteso a letto nelle successive quattro ore.
Il tempo di procedura è di circa 30 minuti per ogni livello vertebrale trattato.

La Chifoplastica è una recente modifica alla Vertebroplastica percutanea , effettuata per la prima volta da M.A. Reiley nel 1998, e comporta l’insufflazione di cateteri a palloncino all’interno del corpo vertebrale collassato, per ripristinarne l’altezza, prima della stabilizzazione con cemento osseo.
 L’esecuzione dell’intervento è analoga a quella precedentemente esposta per la Vertebroplastica, eccezion fatta per il posizionamento all’interno del corpo vertebrale dei due cateteri a palloncino, che distesi determinano la formazione di una cavità che successivamente viene riempita con polimetilmetacrilato.
La durata della procedura è di circa 45 minuti per ogni livello vertebrale trattato.
Entrambe le procedure determinano un rafforzamento del corpo vertebrale crollato con un’importante riduzione della sintomatologia dolorosa del Paziente.

Patologia discale: degenerazione dei dischi intervertebrali che si caratterizza per una minore capacità contenitiva dell’ anulus fibroso, determinando direttamente (protrusione, sotto l’effetto pressorio del nucleo polposo) od indirettamente (erniazione vera e propria del nucleo stesso attraverso una fissurazione anulus) una compressione del midollo o delle radici nervose emergenti a tale livello.
Si possono riconoscere vari quadri di degenerazione discale:
- protrusione discale, sfiancamento delle fibre costituenti l’anulus fibroso, con compressione postero-laterale.
- ernia sottoligamentosa o contenuta, quando il nucleo polposo è erniato attraverso una lacerazione dell’anello fibroso, ma è ancora contenuto al di sotto del legamento longitudinale posteriore.
- ernia estrusa quando il nucleo polposo fuoriesce perforando anche il legamento longitudinale posteriore e protrude direttamente nel canale vertebrale.
- ernia espulsa o libera se il materiale erniato si stacca del tutto dal disco da cui proviene ed appare libero nel canale vertebrale, dove può migrare.

La sintomatologia legata alla patologia discale dipende dal volume dell’ernia stessa, dalla sua posizione e dallo spazio intervertebrale interessato.
In generale però il quadro clinico è caratterizzato da dolore, disturbi della sensibilità e della motilità, non sempre contemporaneamente presenti.
Il trattamento di protrusioni o ernie discali può essere medico o chirurgico.
In assenza di risposta ai trattamenti conservativi si pone l’indicazione alla terapia chirurgica, anche se il riscontro di recidive non risulta essere trascurabile. Per ovviare a tale problematica si è cercato negli ultimi anni di sviluppare tecniche mininvasive in grado di ottenere una pronta risoluzione della sintomatologia associata ad una ridotta traumaticità dell’intervento.

Le quattro procedure di Radiologia Interventistica in grado di perseguire tale scopo sono denominate Nucleoplastica (1), Ossigeno-Ozono Terapia (2),Discectomia Percutanea (3) ed infiltrazioni epiradicolari (4).

  1. La nucleoplastica è una procedura percutanea di Radiologia Interventistica, nata in California nel 2000 e approdata in Italia nel 2001, indicata nelle erniazioni discali contenute, ovvero senza la rottura dell’anulus fibroso.
    I pazienti candidati ad un intervento di nucleoplastica presentano:
    • Anamnesi ed esame obiettivo positivi per il dolore lombare
    • Risonanza Magnetica che evidenzia o una protrusione anulare od un’ernia discale
    • Protrusione discale con dimensioni inferiori del 33% del diametro sagittale del canale spinale
    • Fallimento della terapia fisioterapica per un periodo non inferiore ai 3 mesi
    • La procedura è controindicata in pazienti che presentano:
      • Fissurazioni anulari
      • Obesità
      • Stenosi spinale
      • Frattura spinale o tumore
    La nucleoplastica per mezzo di un ago-elettrodo utilizza un’energia bipolare a radiofrequenza, che permette l’ablazione del tessuto del nucleo polposo attraverso una dissociazione molecolare.
    La dissociazione molecolare di una parte del nucleo polposo crea una retrazione dell’anulus e quindi la scomparsa dell’effetto compressivo sulla radice nervosa. La durata della procedura è di circa 20 minuti
     
  2. L’Ossigeno-Ozono terapia è una terapia approdata in Italia nel 1993, applicata nel trattamento delle lombosciatalgie e delle ernie discali, oltre che in una miriade di altre patologie con elevata sicurezza ed ottimi risultati. L’azione decompressiva ed antinfiammatoria dell’Ozono medicale si è dimostra in questo senso particolarmente efficace. Il vantaggio rispetto alla tecnica precedente risiede nella possibilità di trattare anche dischi che presentano fissurazioni dell’anulus. Questa miscela costituita da Ossigeno (O2=97%) e Ozono (O3=3%) permette di disidratare il nucleo polposo erniato o comprimente i fasci fibrosi anulari, riducendo così la pressione esercitata sulle radici nervose e sul midollo spinale. Piccole modificazioni di volume in un contesto rigido quale quello dello speco vertebrale sono in grado di generare importanti modificazioni pressorie
     
  3. La Discectomia Percutanea permette, grazie all’utilizzo di un particolare ago, la parziale frammentazione ed aspirazione del nucleo polposo con la conseguente riduzione volumetrica e decompressione delle radici. La durata della procedura è di circa 25 minuti
     
  4. Le infiltrazioni periradicolari consistono nella iniezione di anestetico locale e cortisonici, in sede intraforaminale periganglionare e/o periradicolare extracanalare. Tale iniezione viene praticata mediante puntura eseguita sotto guida fluoroscopica o TC e può essere associata alle procedure precedentemente descritte

La procedura, eseguita in regime di day-hospital, permette una risoluzione del dolore acuto con immediato sollievo del paziente.

 

 

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